Carl Schmitt (Plettenberg 1888-1985) è considerato uno dei massimi giuristi del Novecento, e senz'altro il più contestato. Tra i più acuti interpreti della Repubblica di Weimar, aderì convintamente al nazionalsocialismo, per poi ritirarsi a vita privata nel dopoguerra (nel 1945 gli fu proibito a vita l'insegnamento universitario), non senza continuare a esercitare
una considerevolissima influenza sul dibattito politico e giuridico tanto tedesco quanto europeo.
Autore di numerose opere, è ricordato soprattutto (e riduttivamente) per la concezione identitaria del politico, per un sopravvalutato decisionismo e per il suo concetto di diritto come ordine concreto. Tra le sue opere principali, pubblicate anche
in italiano, ricordiamo Teologia politica (1922), Il concetto di politico (1927/1932), Il Leviatano (1938), Terra e mare (1942), Il Nomos della Terra (1950) e Teoria del partigiano (1962).
Di lui Quodlibet ha pubblicato Imperium.
Conversazioni
con Klaus Figge e Dieter Groh 1971 (2015, 2021) e La situazione della scienza giuridica europea (2020).